Un medico e…i suoi amori, ovvero Nino Colletti
Oggi, con alcuni amici, ho trascorso qualche ore nella Cantina del dott. Nino Colletti.
Spiegare le ragioni psicologiche del suo amore nei confronti del vino è un’operazione certamente complessa che richiede diversi approfondimenti.
Partirei dall’utilizzo, non casuale, del termine “amore” solo apparentemente sovrapponibile o accostabile a quello di passione. Non si tratta di un puro problema lessicale o semantico; desidero sottolineare, invece, attraverso tale termine il carattere autenticamente dialogico, duale, bidirezionale della relazione (amorosa e sentimentale ad un tempo) tra Nino ed il vino. Sembra assurdo, ma non provo vergogna nell’affermare che il vino lo ama e lui ama il vino. E’ mia convinzione, infatti, che esattamente come accade in tutte le relazioni amorose, sia intercorsa una indefinibile energia o magma di sensi che lo ha avvicinato e lo ha fatto innamorare. Non mi sento bizzarro o presuntuoso, voglio solo dire che alla base del suo accostamento alla scienza enologica, si cela un forte spinta motivazionale, che potrei chiamare bisogno psicologico, che ha trovato proprio nel vino una fondamentale struttura di senso. E’ come se tra lui, le sue caratteristiche personologiche (la fantasia, la creatività, la sensibilità, quelle che più mi riconosco) e le caratteristiche chimiche e rappresentazionali-simboliche del vino vi sia stato e continui ad esserci un accordo, un’intesa, una contemporanea ricerca che credo vada aldilà degli odori e dei sapori. Freud, d’altronde, sosteneva che gli interessi e le scelte professionali degli uomini non fossero causali, frutto di fortuite ragioni. Egli riteneva, al contrario, che esse fossero riconducibili a bisogni inconsci per questo difficilmente identificabili. Così, solo a titolo di esempio, chi fa il medico esorcizza la paura della morte, chi svolge la professione dell’ingegnere quello della stabilità. Nel suo caso, credo che questi bisogni vadano fatti risalire alla sua infanzia, alla sua famiglia d’origine, alle sue tradizioni, a ciò che crede di essere. In lui non prevale l’interesse per la dimensione elitaria che spesso accompagna l’amore per il vino. In lui prevale più arcaicamente l’intereresse e la curiosità per quel mondo agreste e genuino che altro non è che il contesto all’interno del quale il vino prende le prime mosse. Lo affascina il mondo che circonda il vino, gli uomini che vi lavorano prima di tutto, il loro amore per la natura, per le cose semplici; ebbene il vino risveglia ed evoca nella sua anima proprio tutto questo. Il vino gli dà la possibilità di ricongiungersi con la componente naturale dell’esistenza umana, lo allontana dall’artificiosità e virtualità del mondo contemporaneo. Lo catapulta in altre parole in un modo magico, fatato pieno di poesia. Dico poesia perché il prodotto della terra, il vino appunto, è un fatto poetico; è il risultato, non dimentichiamolo, di eventi naturali solo fino ad un certo punto ri-conoscibili, esattamente come la poesia. Mai potremo chiedere ad un poeta il percorso emotivo affettivo che lo ha condotto nella realizzazione del prodotto finale. Sarà più importante cogliere cosa risuona dentro di noi (lettori) quando ci accingiamo a leggere una poesia. Credo che ciò avvenga anche rispetto al vino. La conoscenza è fondamentale, ci aiuta certamente a capire le origini del vino e magari lo stato di conservazione. Molto però dipenderà dal grado di sensibilità del degustatore, da cosa riesce a risvegliare nel suo cuore ciò che percepisce il suo palato. Questo non si può apprendere. Io credo che Nino abbia la sensibilità adeguata a cogliere tutto ciò; non è presunzione è solo una buona conoscenza dei suoi tratti principali.
Palermo 07/11/ 2012
Guido Falgares
…molto più semplicemente …amo la natura ! Apprezzo i suoi prodotti …..frutto di duro lavoro e sacrifici immani ! Viva la campagna , viva chi la lavora : gli AGRICOLTORI !