intervista al Prof. Ettore Barone
Perché un giovane, diciottenne e appena diplomato, dovrebbe scegliere la facoltà di Agraria come Università?
Lo abbiamo chiesto al Prof. Ettore Barone Direttore Dipartimento Colture Arboree – Università di Palermo,
Professore, arriviamo subito al cuore della questione. «Perché offre una formazione tecnica e scientifica. Non sono molte le facoltà che possiedono questa dualità e qualità. Ce l’hanno ingegneria e architettura, ma altre non la posseggono. Questo permette al giovane di aspirare ad entrare sia nel mondo della professione di agronomo da tecnico, sia di diventare un esperto in ricerca. La mia esperienza personale mi ha portato ad avere vantaggi da questa apertura mentale che ha la facoltà. Poi, anche grazie all’aumentare dell’interesse della società, tra gli interessi della facoltà è nel tempo cresciuta l’attenzione dedicata all’ambiente, così l’offerta formativa si è allargata. Il giovane laureato è cercato dalle aziende per tirocini e per essere inserito nel mondo produttivo, cosa importante in termini di collocazione. Di recente questa facoltà, ispirandosi alla Spagna, ha creato il corso di Agro-ingegneria, proiettato a una figura professionale a cavallo tra agronomo e ingegnere e volto ad approfondire gli aspetti della progettazione e alle creazione di impianti arborei, irrigui e all’agricoltura di precisione. Agraria offre anche una formazione che può essere spesa anche nei confronti dell’ambiente e non solo verso l’agricoltura volta alla produzione di un bene monetizzabile. Il corso si prefigge anche di creare figure che possono agire nel campo delle scienze forestali e ambientali».
Quali sono le nuove prospettive lavorative e quali sono le figure più ricercate dalle aziende??
«È difficile da dire. Questa università, solo con l’arrivo del rettore Roberto La Galla, ha prestato maggiore attenzione a quali sono le figure più ricercate. Non abbiamo dati sulla collocazione effettiva. Posso dire che gli studenti del corso di Viticoltura ed enologia della sede di Marsala si occupano di argomenti legati a un settore vivace e che interessa molte realtà produttive siciliane. Questo grazie al fatto che il corso è pratico e offre contatti in fieri col mondo della produzione. Ma la laurea in questa facoltà offre anche tradizionali sbocchi nel mondo della scuola come: docente di scienze ed altre discipline, consulente nella pubblica amministrazione per aiutare alla redazione dei piani regolatori, consulente nel campo della giustizia per dare pareri nelle contese, ricercatore e naturalmente la libera professione. Una occupazione di interesse per i giovani, non di massa potrebbe essere lavorare nella cooperazione internazionale, quindi alla Fao o presso ONG, che periodicamente selezionano degli esperti per lavorare nei paesi in via di sviluppo».
Recenti dati sull’occupazione dicono che tutti i settori sono in crisi. L’agricoltura, però, è in controtendenza, con un aumento del 3,2 per cento nel sud e addirittura del 13,7 nel nord Italia. A cosa è dovuto questo ritorno alla terra”?
«Per certi versi è finita l’idea portata avanti per troppi anni che l’agricoltore fosse un lavoratore di serie B o addirittura C. Prova è che, anche oggi, molte giornate lavorative in agricoltura sono coperte da extracomunitari che si occupano della raccolta del pomodori e olive e sono spesso vittime del caporalato. L’interesse di oggi è invece figlio della difficoltà di all’accesso in altri settori, ma anche di una accresciuta sensibilità nei confronti dei valori che evoca la vita in campagna, con la riscoperta dei valori salutistici e del più generale bisogno di “natura”. A contribuire al boom di utenti è stata anche l’agriturismo, che ha permesso di far scoprire a numerosi cittadini a fare le vacanze rapportandosi con la natura. A tutto questo sommiamo il fenomeno slow food, ma anche la diffusione della cultura dei prodotti tipici sul mercato»
Perché la politica ha sottovalutato e forse continua a sottovalutare il mondo dell’agricoltura?
«Io non dico che non ci sia sensibilità politica verso l’agricoltura, perché sono stati investiti molti soldi dal punto di vista quantitativo. Il problema è che sono stati spesi maluccio. Lungi da me dal prefigurare piani sovietici quinquennali, ma una qualche programmazione la si sarebbe dovuta fare. Oggi in Sicilia assistiamo a un continuo abbandono del territorio senza una reale attenzione da parte dei nostri uomini del governo. Questo, oltre a problemi sul profilo occupazionale e sociale, crea problemi sul fronte di gestione del territorio. In agricoltura la morte di una azienda vuol dire l’abbandono del territorio. Le conseguenze sono il dissesto idrogeologico con frane, alluvioni, smottamenti e le perdite in termini di suolo agrario, che non è un bene rinnovabile, ma che si costituisce con i suoi tempi. L’agricoltura è stata sempre vista dalla politica come un’ancilla domini. Non si capisce che il danno all’agricoltura lo paghiamo tutti; in termini di vite umane, di crisi della biodiversità e di mancata trasmissione del sapere connesso alla vita rurale. A lode della politica devo dire che recentemente la Regione siciliana ha istituito la figura dell’agricoltore-tutore, ovvero l’agricoltore che non trova ristoro nell’attività economica, ma che viene aiutato economicamente per il ruolo che svolge come tutore della diversità in campo agricolo».
Cosa si potrebbe fare per migliorare la situazione?
«Sono pessimista. Come Keynes dico che nel breve e medio periodo vedo pochi barlumi mentre nel lungo periodo…. saremo tutti morti. In campo nazionale la classe di governo non è attrezzata culturalmente per le sfide che ci impongono i tempi che stiamo vivendo. Intendo che la complessità delle questioni che oggi hanno a che fare col mondo agricolo vanno dalla macroeconomia alla microeconomia al settore sanitario. E per tutta una serie di ambiti ci sarebbe bisogno di avere degli staff nutriti e ben formati. Tutto questo in Italia e in Sicilia non c’è. Fa rabbia che paesi un tempo più arretrati del nostro ci scavalchino in termini di efficienza, di efficacia e di intercettazione dei fondi comunitari. Qui poi mancano le infrastrutture di supporto al settore agricolo. Mi riferisco alle strade, all’accesso facile a Internet, alla vicinanza dei mercati e alla facilitazioni di contesto che potrebbero aiutare gli imprenditori agricoli a fare impresa. Noi potremmo essere la California d’Italia. Ho fiducia nelle capacità dei nostri giovani, ma il mercato non ci consente di dormire sugli allori come per troppo tempo si è fatto, anche in maniera furbesca e autolesionista».
Quali mercati dovremo temere in futuro?
«Sono stato recentemente in Australia e in Sud Africa. E ho scoperto che dopo l’interesse vitivinicolo, da parte di questi paesi sta partendo un interesse nel settore dell’olio. Se non ci attrezziamo e non ci organizziamo in tempo, rischiamo di perdere anche questo vantaggio, che non ci siamo regalati da soli, ma è la nostra cultura e la nostra storia».
L’istat dice anche che i “nodi” che frenano il settore sono: i costi di produzione praticamente raddoppiati rispetto a un anno fa, i prezzi all’origine non ancora remunerativi e una burocrazia “elefantiaca” che pesa sull’agricoltura per 4 miliardi di euro l’anno. È d’accordo?
«Non posseggo un osservatorio privilegiato così come ha l’Istat. Tuttavia ho la sensazione che questa analisi non sia sbagliata. È sotto gli occhi di tutti che i costi dei mezzi colturali hanno subito un aumento vertiginoso negli anni. Sulla burocrazia mi consenta di glissare, perché è di una evidenza schiacciante che non si ha mai la sensazione di essere cittadini, ma che l’interlocutore statale sia un avversario o un nemico ».
E il mondo dell’università come potrebbe aiutare la politica a migliorare questa situazione?
«L’università non ha lo scopo di fornire indicazioni dirette o interferire sui processi politici e della governance. L’università si occupa di formazione, stimola riflessioni lì dove sono carenti e indica linee di tendenza per affrontare le sfide e la concorrenza con altri paesi. L’università deve potere stare al suo posto, preparare le professionalità in modo tecnico o scientifico al passo con i tempi, con un occhio alla formazione umana. Questo è il compito di noi docenti. Poi, ripeto, la politica oggi non mi sembra adatta ai tempi che viviamo».
Palermo 13 settembre 2012
Vassily Sortino