Costè – Agricoltura biologica e vini biologici 16 maggio 2018
L’Agricoltura biologica, il biologico mi affascina.
Il mio plauso alla famiglia Agosta e alla famiglia Tamburello!
L’agricoltura biologica è un modello sociale e ambientale all’interno del quale tutte le risorse, sia umane che naturali, trovano la propria realizzazione.
Produrre il meglio sul proprio territorio, offrire il meglio della propria produzione.
I giovani esigono da noi un cambiamento; essi si e ci domandano come sia possibile costruire un futuro migliore senza pensare all’ambiente.
Nella condivisione della Carta del biologico in Expo Milano 2015, le organizzazioni hanno voluto richiamare le caratteristiche che rendono il modello di agricoltura biologica l’innovazione più efficiente per rispondere alle grandi sfide dell’agricoltura anche nei Paesi del G7, prima tra tutte la fame nel mondo. Un fenomeno, quest’ultimo, che dopo un decennio di declino è ritornato a crescere: secondo la FAO l’ 11% della popolazione globale, in particolare bambini, vive oggi in condizioni di insicurezza alimentare.
Hanno voluto sottolineare come l’agricoltura biologica rappresenti l’unica innovazione in campo agricolo e alimentare dell’ultimo secolo capace di far fronte all’emergenza della fame. Il potenziale rivoluzionario del modello biologico è confermato dal successo globale dell’agricoltura bio, cresciuta sia in termini di superfici convertite (+57,8% per complessivi oltre 7,4 milioni di ettari) sia in termini di operatori (2.4 milioni di operatori in 179 Paesi nel 2015).
“Il modello agricolo italiano – ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina, è tra i più sostenibili in Europa. La produzione biologica nel nostro Paese conta oltre 1,8 milioni di ettari coltivati e circa 73 mila operatori. Abbiamo introdotto per la prima volta le mense biologiche certificate e rafforzato le norme sui controlli, ma dobbiamo continuare a lavorare sul piano internazionale per un sostegno sempre maggiore a questo settore. La sostenibilità è una chiave centrale per la crescita e la competitività dei sistemi agroalimentari.
La transizione al modello agricolo biologico deve essere inserita all’interno delle strategie agricole de Paesi del G7, i quali, grazie a migliori competenze, esperienze ed infrastrutture possono trainare la transizione al modello biologico a scale globale”.
Il Rapporto ONU sulla desertificazione uscito poche settimane mette in evidenza i danni causati dall’agricoltura industriale e chiede ai governi di trovare nuove strategie e modelli di sviluppo per la produzione alimentare. Ed è proprio la transizione verso il modello di agricoltura biologica che può rappresentare l’innovazione fondamentale in grado di tenere insieme sostenibilità ambientale, sociale ed economica dei sistemi agricoli e alimentari. E’ l’opzione strategica per affrontare le grandi sfide future come il contrasto al cambiamento climatico, il recupero della biodiversità e della fertilità dei suoli, la garanzia del diritto a un cibo sano per tutti.
E allora che cos’è l’agricoltura biologica?
Tutta l’agricoltura è biologica, nel senso che è un’attività basata sulla trasformazione biologica, da parte delle piante verdi, dell’energia solare in prodotti utili all’uomo.
Il termine di a. b. va inteso in un’accezione diversa: un metodo di agricoltura, antitetico all’agricoltura convenzionale, un metodo che sia capace di ripristinare la primigenia forza del terreno e della natura…………”.
Ciò che contraddistingue la coltivazione biologica da quella convenzionale è la modalità di conduzione, basata sul principio della non immissione di prodotti chimici e di sintesi e al principio di ridurre gli interventi umani alla protezione della pianta e della terra.
È ampiamente provato che l’aumento demografico è in correlazione con la maggiore disponibilità di alimenti che, a sua volta, è correlata alla possibilità di rendere produttive nuove terre e di aumentare le rese di quelle già coltivate; tendenza, assai disgraziata, che porta a spingere così tanto le rese produttive da ridurre drasticamente il contenuto in sostanza organica dei terreni. Certo si potrà produrre qualche quintale in più per qualche anno, ma il prezzo che si paga è la perdita di fertilità costituzionale del suolo, alla base della quale c’è proprio la sostanza organica.
L’agricoltura, lungi dal praticare una strada etica, addirittura non riesce più a perseguire logiche economiche di ampio respiro. Voglio dire che questa rincorsa alle rese noti non produce altro che un aumento indiscriminato delle quantità immesse sul mercato e, di conseguenza, una diminuzione dei prezzi e dei redditi dei produttori.
Normalmente a quest’obiezione si risponde che la popolazione che dovremmo nutrire oggi è di 6 miliardi, ma ben presto sarà di 9 miliardi. Qui non si tratta semplicemente di fare agricoltura ma di garantire la nostra stessa sopravvivenza su questa Terra. Noi esseri pensanti dobbiamo prendere questa decisione prima di mettere mano al seme! Sostenibilità vuol dire fare agricoltura in modo da lasciare aperta la prospettiva di continuare a produrre anche dopo e non rapinare il terreno, portando via tutto quello che c’è e lasciando alle proprie spalle il deserto.
Si deve tornare all’etica dell’agricoltura.
Il vino biologico:
“Portiamo in bottiglia sostanzialmente i frutti della vigna” (Salvatore Tamburello Azienda Agricola biologica )
“Prima ancora di essere colore, odore e sapore, il vino deve essere figlio di una natura per quanto possibile incontaminata, generato senza interferenze, aiutato a crescere e non costruito artificialmente”.
Una condotta rispettosa nel vigneto, porta alla raccolta di uve in buona salute da cui verrà estratto un mosto sano che, proprio perché tale, riuscirà ad attivare il processo fermentativo senza lieviti aggiunti. La scelta del procedimento spontaneo è l’unico modo per tradurre la ricchezza del rapporto tra luogo e il vitigno (o i vitigni) in varietà espressiva.
La terra è la vera radice di tutto ciò che è naturale e la missione dell’agricoltore è la sua custodia, prima ancora della realizzazione del prodotto alimentare.
Non è retorico affermare che il primo ambientalista dovrebbe essere il contadino.
Nicolas Joly ha cercato di spiegare, con una similitudine di natura economica, il rapporto virtuoso che dovrebbe esistere tra uomo e ambiente: “la natura è il capitale iniziale che, se ben custodito, frutta degli interessi dei quali l’uomo può godere. Purtroppo, da tempo, questo bene iniziale è stato intaccato ed eroso, in taluni casi fino al completo esaurimento”.
Il vino è il diretto testimone di un luogo, inteso come clima, suolo e storia. La vite legge e interpreta la terra nella quale è stata piantata come nessun’altra coltivazione; per questo motivo il vino è, tra i fermentati, quello che restituisce integralmente il proprio luogo di origine. La possibilità di riportare quanto più intatto il segno della terra d’origine è proporzionale alla buona salute della pianta e del suolo in cui è radicata.
C’è una linea che collega il vino al recupero della vitalità della terra; è però necessaria la consapevolezza del senso storico, che si raggiunge indagando le motivazioni alla base delle pratiche contadine. La tradizione diviene così un’alleata per coltivare l’innovazione. Ecco perché il concetto di territorialità racchiude la consuetudine nella realizzazione di un prodotto.
La natura ha espresso il suo slancio facendo coincidere un luogo, con il vitigno o i vitigni chiamati a farlo vivere. L’uomo ha il compito di promuovere questa sinergia, di custodirla, di frequentarla con assiduità in modo che l’osservazione delle trasformazioni naturali e culturali assurga a suo principale strumento di lavoro.
Sono molti gli esempi che mostrano quanto la tecnica si sia allontanata dalla sua funzione di gratificare la qualità dei frutti, perseguendo altri obiettivi. Pensiamo a come ha progressivamente emarginato l’impronta del luogo a favore della varietà dell’uva usata.
Eppure, il vino si è eretto a bevanda universale in virtù della sua provenienza. Borgogna, Bordeaux, Champagne, Chianti consegnano un’idea di denominazione d’origine più completa e complessa, impegnativa da raccontare e da afferrare, ma anche più duratura una volta assimilata. I vini costruiti per esasperare il vitigno — chiamati varietal sul mercato americano — esibiscono il proprio charme nei primi secondi, per ridursi poi alla noiosa ripetizione di uno schema. A volte non serve neanche assaggiarli, tanto si sa dove andranno a finire. Un vino che restituisce il luogo, e con lui l’esito di una stagione, possiede una ricchezza stratificata dall’impatto meno definibile, ma decisamente più magnetico e avvincente.
16 maggio 2018 Guido Falgares