Lo spirito del vino
Mi son trovato improvvisamente a gestire le vigne di mio padre, qualche anno fa. E ho dovuto mettere da parte quegli interessi letterari e musicali che fino a quel momento avevano assorbito quasi tutto il mio tempo. Interessi maturati lungo un percorso di studi diviso tra le Lettere Moderne e il Diploma in Pianoforte, tra l’Università e il Conservatorio, a Catania.
Le vigne di mio padre, della mia famiglia: una tradizione risalente all’immediato dopoguerra, e che si fondava sulla coltivazione estensiva del Nerello Mascalese, per lo più finalizzata alla produzione di vino sfuso destinato al mercato locale.
Ho cercato subito di puntare sulla qualità, raccogliendo gli stimoli che provenivano dall’esterno: dalla presenza sull’Etna, nord in particolare, di produttori di grande esperienza, che – a partire da quest’ultimo decennio – sono riusciti a far conoscere le notevoli potenzialità qualitative dei vini dell’Etna, sia in ambito locale e nazionale, che in contesti internazionali. Accanto ad essi, sta nascendo una nuova generazione di produttori che – in un clima di vivido confronto e scambio di conoscenze, esperienze e saperi – sta cercando di comprendere a fondo la notevole ricchezza di questo nostro territorio vitivinicolo, di dare concretezza alla sua vocazione all’eccellenza, data principalmente da quelle piccole grandi sfumature che ai vini dell’Etna vengono dalla micro-diversità territoriale.
Fare un vino che sia espressione di un territorio implica necessariamente una meticolosa attenzione al sistema-vigne di quel territorio. Nel mio piccolo, capire le vigne ha significato cercare di intervenire su di esse nel modo meno invasivo possibile. E questo non è difficile: basta guardare alle pratiche di coltivazione che ci vengono dalla tradizione dei nostri contadini, semmai intervenendo, riducendola, sulla quantità, a vantaggio della qualità.
È per me fondamentale selezionare l’uva da portare in cantina: perché – operando in vigne vecchie, alcune di un centinaio di anni, che danno complessità inimmaginabili per una vigna giovane – devo tener conto della disomogeneità delle vigne, dei diversi tempi di maturazione dell’uva, dei problemi legati alla tardiva maturazione del Nerello Mascalese. Compio così diversi passaggi in vendemmia, che mi consentono di sperimentare in vari momenti, a vari livelli, i risultati ottenibili dalle mie vigne. E di tradurli in vini che siano il più possibile espressione di quel determinato, specifico territorio.
Vini che si creano nel tempo, dunque; particolare dopo particolare; ma con alla base una precisa idea di vino. Secondo un’impostazione per così dire diacronica, per passi successivi. Ed è, questa impostazione di metodo, la stessa che il pianista utilizza nello studio e nell’interpretazione di uno spartito. In questo senso mi piace poter associare il vino all’arte, alla musica, al di là delle correnti banalizzazioni. Così come la musica, anche il vino può essere un’arte del tempo, un’arte mista, che accoglie profumi e sapori, tradizioni e suggestioni, e li raccoglie tutti nel suo scrigno: la bottiglia. Così come l’arte, anche il vino, attraverso lo stimolo dei nostri sensi, può essere strumento di conoscenza: dell’essenza, dello spirito di un territorio.
Girolamo Russo